lunedì 23 agosto 2010

IRON MAIDEN A VILLA MANIN IL 17 AGOSTO 2010: LA RECENSIONE DI RICKY RUSSO

È iniziato con dieci minuti di anticipo e un boato di undicimila fan giunti da tutta Europa ieri sera a Villa Manin di Codroipo, il concerto degli inglesi Iron Maiden che hanno confermato (ma non c’erano dubbi a riguardo…) il loro status di band più importante ed influente del panorama metal mondiale. Un’overture fatta solo di luci a formare un cielo stellato prima che le chitarre di Murray, Smith e Gers cominciassero il loro canto metallico. Dopo è stato un susseguirsi di brani di grande rock della loro carriera post-Duemila. Sotto l’enorme palco c’erano anche i duecento vincitori del concorso «First to the barrier», entrati nell'area del concerto prima degli altri spettatori e giunti ieri in Friuli con il Boeing 757 privato pilotato personalmente dal cantante del gruppo, Bruce Dickinson. L’unica data italiana di «The Final Frontier World Tour», partito a Dallas il 9 giugno e che si concluderà in Australia a febbraio del 2011, ha registrato il tutto esaurito in prevendita, con presenze di pubblico soprattutto dalla Slovenia e Croazia (dove sono stati venduti circa 3 mila biglietti), dall’Austria (giunti in 2 mila), ma anche dalla Serbia, Svizzera, Inghilterra, Ungheria, Bulgaria, Bosnia, Slovacchia, Polonia e Francia. Il metal tira sempre, fa numeri notevoli, può contare su un pubblico molto fedele, ma anche piuttosto esigente: non tutti ad esempio, hanno gradito la scaletta proposta dai Maiden a Codroipo, perché troppo incentrata sulle produzioni post-2000. In particolare: «Brave New World» del 2000 e «Dance Of Death» del 2003, che segnarono il rientro nella line-up di Bruce Dickinson e del chitarrista Adrian Smith, dopo un periodo buio negli anni ‘90 con il vocalist ex Wolfsbane Blaze Bayley. Scaletta troppo scarsa invece di classici degli anni ’80 (”Wrathchild”, ”Iron Maiden” e i bis…). Dal nuovo album solo il singolo ”El Dorado”. Ma la vera forza della formazione britannica sta proprio in questo: continuare a vivere nel presente, senza campare troppo di rendita, mettendosi sempre in discussione. E poi non bisogna dimenticare che il penultimo tour celebrò in maniera maestosa proprio gli anni d’oro (quel «Somewhere Back In Time World Tour» del 2008, immortalato nello splendido film documentario «Flight 666» del 2009). Hanno avuto il compito di aprire la serata i milanesi Labyrinth, che hanno pubblicato a giugno un nuovo album. A Villa Manin, gli Iron Maiden si sono presentati in ottima forma atletica, precisi nell’imbastire un suono potente, faraonico. Per usare una metafora calcistica, la squadra ha giocato a memoria, con Bruce “Scream For Me” Dickinson alla voce e nella parte del frontman carismatico; Dave Murray, Adrian Smith e Janick Gers alle chitarre, hanno messo in mostra una perizia tecnica e un’intesa invidiabile; Steve Harris al basso, ha dettato le cadenze e i ritmi; Nicko McBrain alla batteria, ha picchiato furente le pelli. Gli Irons interpretano ancora il ruolo di “metal heroes” credibili. «Sono in cinque sul palco davanti a me, sono pazzi. – scherza il drummer Nicko McBrain -. Prima o poi si faranno davvero male, dovrebbero assicurarsi. È pericoloso lo show da acrobati che offrono on stage e gli anni non pesano sulle loro spalle, perché quello che fanno è proprio una figata da vedere. A volte mi sembra di suonare la batteria per una squadra di hockey su ghiaccio!». Come in ogni live che si rispetti della “Vergine di Ferro”, anche nel nuovo tour, che prende il nome dal disco appena uscito, «The Final Frontier» (il quindicesimo in studio di una carriera trentennale), l’allestimento di palco, luci e pedane è imponente, molto spettacolare. Nel corso dello show, non è mancata l’apparizione della famosa mascotte/creatura mostruosa Eddie The Head (presente anche sulle magliette, le toppe, le bandiere di migliaia di fan a Villa Manin…), creata da Derek Riggs e oggi disegnata da Melvyn Grant. Non è mancata nemmeno una dedica al cantante Ronnie James Dio. Nonostante una maggiore sensibilità e consapevolezza nei temi trattati dell’ultimo periodo (influenzato dal power metal ecologista e new age nordeuropeo), gli Irons, come ha scritto il loro biografo Maurizio De Paola: «interpretano il disimpegno degli anni Ottanta, visto però in una visione di estremo “individualismo collettivo” che fa della tribù e del clan metallaro l’unico punto di riferimento delle relazioni sociali». 


Ricky Russo, Il Piccolo 18 Agosto 2010



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