martedì 5 ottobre 2010

RUBRICA DISCHI IL PICCOLO 04.05.10 DI ELISA E RICKY RUSSO


Artista: Fabri Fibra
Titolo: «Controcultura»
Etichetta: Universal

Il rapper Fabri Fibra, con il nuovo album «Controcultura» (Universal) uscito il 7 settembre, è finito per la seconda volta in vetta alla classifica dei dischi più venduti in Italia (era già successo nel 2006 con il debutto su major «Tradimento»). Il video del primo singolo «Vip In Trip», che cita i Clash di «Rock The Casbah», corre verso i 3 milioni di visualizzazioni su YouTube. «Sono l'artista che è stato meno in tv negli ultimi mesi - commenta Fibra -, non faccio tour da due anni, ma coinvolgo molto la gente, tratto argomenti veri». Il rap di Fabri Fibra, come i pezzi dei cantautori impegnati, descrive l’attualità e, a volte, ne prevede gli sviluppi in anticipo su certi articoli di giornale, libri o film, perché lo fa in maniera diretta, sincera, graffiante. Gli americani Public Enemy dicevano che il rap è “la CNN del Ghetto”, nel nostro Paese dei “mille vizi”, basato su “donne e pallone”, l’hip hop muove delle critiche feroci alla società, cerca le verità nascoste, tenta di provocare qualche reazione al vuoto che ci circonda: «La musica non dice più niente/è una strategia che tranquillizza la gente» («Escort»), «Fanno bordello in centro/solo per la Champions» («Qualcuno Normale»). «Controcultura» (il titolo vuole contrapporsi alla cultura musicale dominante/bellissime immagini e zero sostanza) contiene 18 brani inediti: tanta roba, mille immagini, giochi di parole, dieci produttori diversi (Crookers, Big Fish, DJ Nais, Michele Canova, The Buchanans, JFK, Dot Da Genius…) featuring di talenti come Marracash, Dargen D’Amico, Entics, DJ Double S. Canzoni in bilico tra intrattenimento e lettura del presente. Un racconto satirico, crudo, esplicito (la stessa casa discografica prende le distanze nel libretto del cd…), dell’Italia berlusconiana («la peggiore delle Italie che ho mai visto, per volgarità e bassezza» scrisse il grande Indro Montanelli nel 2001), attraverso la descrizione di scenari ed ambienti precisi, facendo nomi e cognomi di politici e personaggi dello spettacolo. Ne escono malconci quasi tutti: da Berlusconi a Bossi, da Bertolaso a Dell’Utri, Noemi Letizia, Laura Chiatti, Marco Carta, Francesco Facchinetti, da Corona a Fabio Fazio, da Marrazzo alla D’Addario. Si salvano i giornalisti Michele Santoro e Marco Travaglio perché «sono tra le poche voci fuori dal coro in tv. In un mondo normale sarebbero persone normali, ma nel nostro Paese è talmente assurdo dire le cose che sono visti come degli eroi» ha dichiarato il rapper di Senigallia a XL. Fabri Fibra è già un classico e ha fatto un percorso umano ed artistico davvero straordinario: «Ho messo tutta la mia vita in questa cosa – racconta -, sono cinque anni che non torno a casa mia e non vedo i miei amici. Ma è la passione per il lavoro che ti fa crescere, non i sabato sera e le notti brave».


Artista: Arcade Fire
Titolo: «The Suburbs»
Etichetta: Merge
Terzo album per gli sposini Win Butler e Régine Chassagne. Dopo i buoni riscontri di «Neon Bible» e «Funeral», arriva il successo più ampio con «The Suburbs» (Merge) che svetta subito al primo posto delle classifiche negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna. Anche l’Italia si accorge di loro: se prima erano confinati nella sfera dell’indie rock, ora compaiono anche in un servizio del tg 2 Rai. Il recente concerto a Bologna della band canadese sembrava essere sulla bocca di tutti. E così un pubblico più vasto ha scoperto gli Arcade Fire, gruppo di classe e d’impegno (dal supporto alla campagna di Obama alle cause benefiche come “Darker Was The Night” e le donazioni pro-Haiti). Di nomi celebri tra i loro fan ne vantano parecchi: da Chris Martin dei Coldplay che lì definì “il più grande gruppo della storia” a Peter Gabriel che ha coverizzato la loro “Body in a Cage”. Entrare nei “Suburbs” equivale a fare un viaggio in un mondo magico e misterioso che si svela solo a forza di ascolti. Un album sontuoso, pieno di inni più che di hits. Anche se una canzone come il singolo “We Used To Wait” ha le carte in regola per lasciare tracce di sé nella storia della musica. Se i primi lavori erano i dischi dei figli, questo è il disco dei padri: “Voglio avere una figlia finché sono giovane/ Tenerla per mano/ e mostrarle la Bellezza/ prima che tutto si guasti”. Win ripercorre i luoghi della sua infanzia, e li trova cambiati: centrale il tema del mutamento che intreccia passato e futuro, con un’apertura alla luce e alla speranza inedita finora alla band di Montreal (“Le nostre vite stanno cambiando velocemente/ speriamo che qualcosa di puro possa durare). Il disco ha fatto parlare di sé anche per gli esperimenti multimediali che l’hanno accompagnato: dall’artwork sincronizzato (ai brani mp3 sono stati allegati contenuti extra, come i testi delle canzoni), al concerto girato dal regista Terry Gilliam (seguito in streaming su You Tube da quasi due milioni di utenti), ad un clip interattivo che – con l’ausilio di Google Maps – permette al fruitore di fare un tuffo nel passato, digitando il nome della strada in cui abitava da bambino.


Artista: Black Mountain
Titolo: «Wilderness Heart»
Etichetta: Jagjaguwar


Terzo capitolo per i canadesi Black Mountain. Suonano un rock psichedelico che arriva dal passato ma ti proietta nel futuro (non per niente il precedente lavoro s’intitolava “In The Future”). Mancano questa volta le suite prog da 17 minuti: la Montagna Nera s’immola totalmente alla psichedelia, al rock classico (Deep Purple, Black Sabbath e Led Zeppelin), al southern, al folk e allo stoner rock (alla Kyuss e Queens Of The Stone Age). Le voci di Amber Webber e Stephen McBean s’intrecciano e si alternano risultando dolci e forti al contempo. Riff granitici, precisi e compatti: il singolo “Old Fang” è un brano pressoché perfetto. Il disco è stato registrato a Los Angeles, con l’ausilio di produttori di grido come David Sardy e Randall Dunn (gente nel cui curriculum figurano Oasis, Rolling Stones, Johnny Cash, Slayer, Sun O))) e Six Organs Of Admittance). “Il terzo è un disco difficile” afferma McBean “senti l’esigenza di non ripeterti, ecco perché abbiamo puntato di più sul metal e sul folk”.


Artista: NoGuRu
Titolo: «Milano Original Soundtrack»
Etichetta: Bagana Records



I milanesi Ritmo Tribale sono stati negli anni ’90 al top del rock italiano, grazie ad album come «Kriminale», «Tutti Vs. Tutti», «Mantra» e «Psycorsonica». Dopo un lungo oblio, sono ritornati con due progetti diversi: il cantante Stefano Edda Rampoldi da solista ha pubblicato nel 2009 «Semper Biot» e il mese scorso l’ep «In Orbita» (registrato live a Radio Capodistria) per Niegazowana; mentre gli ex compagni Scaglia (voce, chitarra), Marcheschi (batteria), Briegel (basso) e Talia (tastiere), affiancati dall’ex Afterhours Iriondo (chitarra) e dall’ex Detonazione Romani (sax), con il nome NoGuRu hanno appena fatto uscire il loro debutto: «Milano Original Soundtrack». Un rientro sulle scene molto ispirato e sintonizzato sul presente. Parole di fuoco, sarcasmo, cuore e personalità. Suoni metropolitani, citazioni post-punk (Joy Division, Killing Joke), No Wave N.Y., funk bianco, colonne sonore poliziottesche, Stooges. Lunga vita ai Tribali.
Elisa e Ricky Russo


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